I sindacati dei pensionati di Verona lanciano l’allarme. La buona notizia del drastico calo di contagi tra ospiti e personale delle case di riposo va bilanciata e messa in relazione con l’andamento altalenante, ad ondate violente e progressive, tipico della pandemia, che intima di non abbassare mai la guardia. Il virus dispone ancora di grandissimi spazi di propagazione. Complici i ritardi nelle forniture del vaccino ma anche a causa del sistema farraginoso e incompleto messo in piedi dalla Regione Veneto, larga parte della popolazione ultrasessantacinquenne e in particolare ultraottantenne è ancora un potenziale campo di conquista per la pandemia.
Nelle stesse case di riposo veronesi le seconde dosi somministrate raggiungono a mala pena le 6 mila unità a fronte di una popolazione di circa 9 mila soggetti, equamente suddivisi tra 4.4.83 operatori e 4.506 ospiti anziani rimasti dopo che il virus se n’è portati via ben 984. Il Piano regionale di Vaccinazione, per quanto riguarda la Fase 1 che si sarebbe dovuta chiudere a metà febbraio, ragiona su una platea ancora più ampia, comprendendo tutte le strutture residenziali assistite, quindi anche quelle per disabili, malati psichici ecc per un totale di 7.698 unità di personale e 8.659 ospiti nel veronese. A questo si aggiunga che, a causa della scelta di procedere a vaccinare a ritroso a partire dalla classe del 1941, gli anziani ultraottantenni non residenti in struttura vivono nella più totale incertezza il momento del vaccino, e con la prospettiva di venire chiamati per ultimi. Nella provincia Veronese sono quasi 67 mila di cui 33 mila ultra 84enni.
C’è quindi ancora tantissimo lavoro da fare, in primo luogo per rendere trasparenti e intellegibili i dati diffusi dall’Osservatorio, che non devono essere soltanto oggetto di aggiornamento statistico, ma devono diventare base per implementare delle efficaci politiche di contrasto al virus e per il benessere degli anziani. E in secondo luogo per cominciare a gettare lo sguardo oltre al modello della casa di riposo e dell’istituzionalizzazione dell’anziano, trasformando gli “ospizi” in centro servizi capaci di mantenere quanto più possibile l’anziano al proprio domicilio. Questo della domiciliarità è anche il vero tallone d’Achille della strategia di lotta al Covid finora seguita: l’incapacità di arrivare fin dentro alle case attraverso i servizi preposti, come le Usca e i medici di famiglia. Il Covid, ma anche la partita per il benessere degli anziani, si vince soprattutto su questo terreno.