Recentemente la FLAI CGIL ha presentato, presso l’Università La Sapienza di Roma, il “quaderno” dal titolo Geografia del Caporalato, uno strumento più agevole e di facile consultazione, immediatamente comprensibile per chi vuole indagare il fenomeno. È inserito in una collana di quaderni che accompagnerà l’uscita del VI Rapporto Agromafie e Caporalato che avverrà in autunno.
La fotografia che ci consegna è impietosa sulla capillarità del fenomeno dello sfruttamento lavorativo e del caporalato in Agricoltura.
Prima novità della ricerca: i procedimenti giudiziari aperti, in applicazione della Legge 199/2016, sono 143 nel centro-nord Italia; contro i 117 procedimenti aperti nel sud Italia e Isole.
Questa tendenza negativa per il nord Italia è confermata dagli accertamenti ispettivi a cura dell’Ispettorato del Lavoro. Mentre in tutto il Paese, nel periodo 2012-2020, è stato misurato un calo generale del 28% di lavoratori irregolari coinvolti nelle violazioni accertate, il dato delle macroaree è la seguente: sud -42% (mezzogiorno), centro -23%, nord +26%
“Il Veneto – dichiara Giosuè Mattei, segretario generale Flai Cgil Veneto – si caratterizza come una delle regioni più colpite dal fenomeno, ne sono testimonianza le numerose denunce presso gli organi ispettivi e alle forze dell’Ordine fatte dalla FLAI CGIL in tutte le nostre province. L’unico territorio che ad oggi non ha alcun procedimento aperto è quello di Belluno, mentre in tutte le altre sei province riscontriamo un radicamento del fenomeno preoccupante. Gli ultimi fatti, in ordine di tempo, quelli accertati dall’Ispettorato del Lavoro in un allevamento della Pedemontana berica la settimana scorsa.
Un altro elemento di preoccupazione che abbiamo riscontrato è che il fenomeno dello sfruttamento lavorativo e del caporalato, in Veneto, ha varcato i confini dell’agricoltura per trovare terreno fertile negli appalti delle aziende industriali come emerso nel recente caso di Fonti di Posina a Vicenza per restare nel settore agroalimentare, ma più in generale sono interessati i settori: manifatturiero, della logistica, edile, del volantinaggio, per esempio.
Sempre in Veneto, il volto dello sfruttamento ha i connotati delle cooperative spurie, cosiddette “senza terra”, le quali arruolano braccia da impiegare in agricoltura e non solo. Queste aziende, che di cooperativo non hanno nulla, così come alcune società SRLS, svolgono intermediazione di manodopera a bassissimo costo che offrono alle aziende agricole autoctone. Il minor costo di mercato per la prestazione lavorativa viene scaricato sulla schiena dei braccianti, che vengono pagati generalmente 3 o 4 euro l’ora, con orari di lavoro che nel periodo estivo possono arrivare a 13 o 14 ore giornaliere. Spesso viene detratto dalla paga del lavoratore il costo del trasporto per giungere dal luogo di partenza al campo. Il V Rapporto Agromafie e Caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto stima che tra il 2018 e il 2020 i lavoratori gravemente sfruttati in condizioni indecenti e servili nella regione Veneto sono oltre 5.500.
Questa piaga, oltre a violare le più elementari norme contrattuali e salariali annientando la dignità delle persone, reca un danno economico alla società. La stima ISTAT sull’economia nazionale sommersa e non osservata ammonta a 211 miliardi di euro complessivi. Il dato dell’economia Veneta non osservata si attesta attorno ai 17 miliardi di euro.
L’incidenza del lavoro irregolare sul dato nazionale vale 79 miliardi di euro, il Veneto contribuisce a questa stima incidendo con 5,4 miliardi di euro, che equivarrebbero al 3.8% del Pil Regionale.
La fotografia che l’ultimo Rapporto agromafie e caporalato ci consegna su due anni (ottobre 2018 – ottobre 2020), riguarda da un lato lo sfruttamento lavorativo nel settore agro-alimentare (di maestranze italiane e straniere), dall’altro le criticità dei rapporti di lavoro dovute a contratti ingannevoli (anche formalmente ineccepibili ma sostanzialmente penalizzanti, cosiddetto lavoro grigio) e, infine, i raggiri perpetrati a danno dei lavoratori.
Una delle difficoltà che stiamo incontrando nel contrastare il fenomeno è la mancata istituzione in tutte le province venete della Sezione Territoriale del Lavoro Agricolo di Qualità. Queste sezioni sono lo strumento operativo per attivare sul territorio tutte le azioni utili relative: al trasporto dei lavoratori fino al luogo di lavoro; alla promozione di forme di incontro tra domanda e offerta di lavoro trasparenti e legali, in stretta collaborazione con l’amministrazione pubblica; a iniziative, d’intesa con le autorità, in materia di politiche attive del lavoro e di contrasto al lavoro sommerso; all’organizzazione dei flussi di manodopera stagionale.
Sostanzialmente il compito delle sezioni territoriali è implementare, con la sinergia tra i soggetti istituzionali e le parti sociali del settore agricolo, le azioni utili a fare emergere ed eliminare l’illegalità nel lavoro agricolo e le situazioni di degrado sociale in cui vivono molte lavoratrici e lavoratori, soprattutto stranieri.
Questo adempimento di Legge, previsto già dal 2014 e poi maggiormente strutturato e ampliato con l’art. 8 della L.199/2016, è di competenza delle istituzioni locali e dell’INPS, che dovrebbe dare cittadinanza a questa norma istituendo presso l’Ente le Sezioni Territoriali. Su questo aspetto abbiamo avanzato richieste formali e ci auguriamo una risposta positiva nel più breve tempo possibile. Inoltre, sottolineiamo che in Veneto le aziende che si sono certificate presso la rete del Lavoro Agricolo di Qualità sono meno di 250 su oltre 10 mila.
Per combattere questo fenomeno bisogna agire alla radice, togliendo ossigeno alla fiamma che alimenta il malaffare dei caporali, ovvero affrontare la questione alloggiativa, i trasporti dei lavoratori, agevolare la concessione dei titoli di soggiorno che sempre rappresentano un’arma di ricatto nei confronti dei lavoratori stranieri, percorsi di integrazione linguistica che consentano ai cittadini stranieri di emanciparsi nella loro condizione.
In conclusione, il fenomeno dello sfruttamento lavorativo e del caporalato nella nostra regione è molto complesso e molto diffuso sia nel settore primario che nel settore manifatturiero, ha senza dubbio caratteristiche diverse rispetto ad altre aree geografiche del Paese, ma perpetra le stesse condizioni di degrado, vessazioni, minacce, annientamento della persona che diventa di proprietà di chi lo sfrutta.
La FLAI CGIL ha assunto un impegno molti anni fa, quando cominciammo a denunciare questo fenomeno in completa solitudine. Abbiamo conquistato molti strumenti da poter mettere in campo per restituire a tutti coloro che sono stati sfruttati e resi schiavi di questo sistema la dignità calpestata. Lo dobbiamo alle vittime che sono morte di sfruttamento come Paola Clemente e a tutti gli invisibili che ancora oggi una parte della società non vuole vedere.
Noi continueremo a fare la nostra parte fino in fondo anche per tutte le aziende sane che subiscono il dumping di chi abbatte i costi attraverso l’illegalità”.