“Lo stallo evidenziato nel completamento del ciclo vaccinale dei sessantenni veronesi ci preoccupa e ci interroga. Se confermato, il dato veronese del 60% risulta di gran lunga inferiore alla media regionale e nazionale che vede i sessantenni che hanno concluso il ciclo rispettivamente al 66% e al 67%. E’ pertanto necessario che in questa fase Ulss 9 e Regione Veneto intensifichino al massimo lo sforzo organizzativo, anche se questo può comportare una moltiplicazione dei costi”, afferma SPIL CGIL di Verona.
“Come sindacato dei pensionati respingiamo con forza le tesi riduzioniste e minimaliste secondo le quali il peggio sarebbe alle spalle. La pandemia non è superata, anzi! Invitiamo a lavorare sui limiti del sistema dei centri vaccinali di massa, capaci di raggiungere (a regime) grandi numeri ma strutturalmente carenti sotto l’aspetto del rapporto personale con gli assistiti. Tra i motivi possibili di resistenza alla seconda dose, che si evidenziano in questa fascia di età ma che potrebbero emergere a breve anche tra i più giovani, invitiamo a considerare di più l’assistenza di cui i cittadini sentono bisogno in occasione dell’insorgenza di effetti collaterali del vaccino, piccoli o grandi che siano. Anche sotto questo aspetto la collaborazione con i medici di famiglia va intensificata, migliorata e soprattutto resa strutturale. Sappiamo bene che la nostra medicina territoriale è ancora lontana dall’essere un sistema realmente integrato, ma il Covid rappresenta un fondamentale banco di prova e segna una strada verso l’integrazione dei servizi socio-sanitari e il potenziamento dell’assistenza territoriale dalla quale non possiamo far ritorno”, conclude Adriano Felice Segretario provinciale Spi Cgil Verona